La montagna al di fuori di tutti i luoghi comuni. Per ridarle significato, ma un significato che sia vero, quindi legato alla sua essenza, che non è mai forma imposta.
E’ la sfida che arte e architettura stanno, da approcci diversi, vivendo.
Perchè la montagna è, già di per sè, luogo che spinge a inseguire i limiti, luogo di lotta e difficoltà, dove tutto può diventare estremo. E’ “estremità” quella cima dentata che morde il cielo, e così diventa “estrema” anche l’architettura che lì cerca di mettere radici, o meglio di appoggiarsi un po’, vista la parvenza di precarietà che hanno tutte le costruzioni d’alta montagna. Sarà il peso schiacciante delle masse di pareti rocciose, di pesanti e striscianti nevi, o anche di quei cieli così perfetti e mutevoli dell’alta quota: la natura schiaccia di forza e perennità, lassù. E i bivacchi, puntini rossi tra le rocce, stanno lì incastrati con leggerezza e precarietà, come insetti meccanici che segnano un passaggio. Sono farfalle, leggere e colorate, che si appoggiano sulla schiena dei monti (millenari) per l’istante di qualche decennio.
Nei luoghi estremi è così: è impossibile viverci, fermarcisi per lungo tempo. L’uomo può solo, con gesto folle ma splendido, passarci. L’uomo si spinge nei luoghi dell’estremo per provare ad affacciarsi, per toccare il limite e poi ritrarsi. Il limite è la cima ed insieme il grande vuoto della quota: il luogo dove gli opposti si incontrano e si toccano.
E’ questa magia che lì l’uomo può provare, magia “materiale” fatta di fatica, mani su roccia, ramponi, picche…magia di pochi istanti di cima che presto deve ricomporre in emozione, pensiero, da mettere in zaino per ricucire subito, passo dopo passo, la distanza percorsa e ritornare giù.
Così l’uomo che “si affaccia” alla montagna è anche un uomo di avvistamenti, non perchè dalla cima si sia lasciato incantare da chissà quali panorami (non l’uomo romantico di Friedrich del “viaggiatore che si affaccia sopra il mare di nebbia”) ma perchè ha vissuto fisicamente e mentalmente l’esperienza del limite. E’ nelle zone di limite, di confine, che avvengono gli avvistamenti, perchè lì dove si incontrano gli opposti si palesa il senso delle cose, lì tutto diventa nitido, e vero.
Ecco perchè credo molto nel riscatto possibile dei luoghi e delle genti di montagna attraverso l’arte e l’architettura. Perchè quei luoghi e quelle genti, da sempre economicamente e commercialmente svantaggiati, hanno però un potenziale cognitivo incredibile.
Montagna non come bellezza che incanta ma come terribile serbatoio di potenza tellurica: chi riesce ad attingere a quel serbatoio avrà forza che scuote.
Il nuovo bivacco Gervasutti, sul Monte Bianco, è una splendida “farfalla meccanica”, nata non solo per l’ambiente di montagna, ma anche da-lle logiche della montagna. La forma ovalizzata assolve molto meglio alle funzioni strutturali ed alle spinte di neve e vento rispetto alla forma storica della “casetta a spiovente”. Il segno dell’appartenenza alla storia, ad una tradizione, rimane quale “tatuaggio”, disegno inciso sulla pelle, sulla superficie, di disegni tipici montani.
E’ segno nel territorio, punto di riferimento visibile da lontano, che diventa anche segno del proprio tempo e quindi forma d’arte. Come gli henges dei tempi preistorici: luoghi di sosta che diventano segni nel territorio, oggi riconosciuti come arte preistorica. Un filo rosso che lega l’oggi alle origini, l’alba di un senso nuovo.